Morire bruciata viva a 22 anni per un amore malato che scambia il sentimento con il possesso. Succede in Italia, succede a Roma, un paese civile, che si vanta di essere avanti culturalmente, concedendosi l’arrogante lusso di guardare dall’alto in basso i modi e le condizioni che caratterizzano il ruolo della donna a cui viene riconosciuto scarso valore ed il rapporto uomo/donna a discapito di quest’ultima.
Il desiderio che tutte le donne vengano rispettate e tutelate è il motivo per cui è nata la nostra associazione. Porre fine all’uso della violenza di genere, allo stupro come strumenti contro le donne, viste come oggetto e non come essere umani di cui rispettare la dignità della vita è la nostra battaglia quotidiana. L’obiettivo che perseguiamo è la trasformazione di questa cultura che continua a partorire mostri che si sentono legittimati ad annientare l’esistenza di una donna solo perché ha detto no.
Da domenica notte ci è ancora più chiaro ed evidente che il nostro impegno non può essere destinato solo alle donne straniere che seppur vivendo in Italia, subiscono le norme imposte dalle tradizioni del proprio paese, e neanche si può limitare a dar voce alle donne rifugiate o a tutte le sopravvissute che cercano giustizia per aver subito violenza e stupri durante i conflitti in corso nei loro paesi.
Da domenica notte ci è estremamente chiaro che il nostro impegno serve anche qui, nella civilissima Italia, dove una ragazza di 22 anni ha il diritto di studiare e crearsi un futuro frequentando l’Università, ha il diritto di uscire la sera, di guidare una macchina, con il paradosso che però il diritto più importante, il suo diritto alla vita non venga adeguatamente tutelato, e che un mostro possa decidere che in realtà lei tutti quei diritti non li merita, che la sua vita se non può essere sua non ha valore, e bruci la ragazza come brucia la sua macchina, un oggetto e un essere umano.
Educare al rispetto ed alla dignità della vita di tutte le persone deve essere il primo passo per riuscire a cambiare la cultura attuale. Uomini e donne devono apprendere un nuovo modo di vedersi l’un l’altro, le donne per prime devono acquisire consapevolezza del loro valore e del rispetto che meritano in quanto esseri umani, e gli uomini abbandonare l’idea malata di “possedere” una donna.
Il discorso ha mille sfaccettature e la trasformazione richiede tempi molto lunghi ma non per questo siamo giustificati a lasciare le cose come stanno.
Un’altra cosa è molto chiara da domenica notte, il problema non sono solo i “mostri” ma la società codarda che ci circonda e su cui pesa la responsabilità diffusa del girarsi dall’altra parte, del tirare dritto, del “non avevo capito la situazione”. La mancanza di coraggio forse è proprio conseguenza del non avere abbastanza a cuore la vita dell’altro, dell’essere concentrati su noi stessi e sul proteggere il nostro piccolo orticello, ma non è una giustificazione accettabile.
Non riesco a non pensare al possibile sollievo provato da Sara alla vista della prima auto a cui ha chiesto aiuto ed all’improvviso panico quando invece ha capito di essere sola, assolutamente sola.
Si sarebbe potuta salvare Sara, se solo qualcuno avesse usato il cellulare per chiamare i soccorsi.
Purtroppo no, il mostro ha ucciso Sara con la complicità dell’indifferenza, della paura e dell’ignoranza.
Prendere atto di questo, prendere consapevolezza che questo accade nelle nostre civilissime strade, riempie gli occhi di lacrime ed il cuore di rabbia. Ma se di trasformazione culturale dobbiamo parlare allora iniziamo da questa rabbia, trasformandola in azioni. Per Sara e per tutte le ragazze qui e in ogni luogo, per quelle che cercano giustizia e per quelle che cercano tutela, per tutte! Che venga riconosciuto loro rispetto in quanto essere umani, che non ci sia più bisogno di dover proteggere i loro corpi da oltraggi violenti e sporchi, e che il diritto più prezioso, il diritto alla vita non venga mai più messo in discussione e leso.