Tra i partner della campagna Stop Rape Italia da diversi anni c’è la nazionale italiana femminile di hockey su prato. Oggi conosciamo meglio Chiara Tiddi, capitana della della selezione azzurra e nostra sostenitrice.
-Chiara parlaci un po’ di te: come nasce la tua passione per l’hockey su prato e quale è stato il percorso che ti ha portato ad essere la capitana azzurra?
Ho scoperto l’hockey su prato in quanto era una delle attività proposte durante le ore di educazione fisica alla Scuola Elementare Montessori di Roma. Lì è nata la mia passione per questo sport decidendo di praticarlo anche al di fuori del contesto scolastico. Entrai così nelle giovanili della Hockey Butterfly Roma, dove giocai fino a 17 anni quando approdai al club Libertas San Saba con il quale ho giocato il primo campionato di serie A, stesso periodo in cui entrai nel giro delle nazionali giovanili. Dal 2009, secondo anno di università, gioco all’estero. Dopo esperienze in Spagna e Belgio oggi gioco in Olanda e dal 2011 sono capitana della nazionale.
– Quali sono le difficoltà più dure che hai affrontato per poter realizzare il tuo sogno sportivo?
La problematica principale fu quella di far capire che il mio percorso sportivo non era un capriccio o un semplice hobby, ma che era ciò sul quale avrei voluto costruire la mia carriera. I cosiddetti sport minori in Italia sono percepiti come esclusivamente amatoriali, specialmente quelli femminili, e vengono visti come attività che non possono creare sbocchi lavorativi. All’estero posso dire non è così, avendo avuto sempre contratti professionistici in qualsiasi Paese io abbia giocato. Il periodo più complicato fu sicuramente quello scolastico, in quanto era davvero difficile riuscire a far conciliare le scadenze scolastiche con l’attività agonistica sportiva ad alti livelli. L’istituzione scolastica non ha dei percorsi che riescano a permettere ad un atleta di potersi allenare portando avanti lo studio, ma tutto è demandato alla disponibilità dei professori. A scuola si crearono dei problemi non solo con me, ma anche con altre compagne che praticavano altri sport a livello nazionale.
– Ritieni che vi sia un gap tra l’Italia e le altre nazioni europee per quanto riguarda il riconoscimento dei meriti sportivi come elemento fondamentale della formazione personale?
Si decisamente. All’estero ho trovato un contesto completamente diverso, sia nella società che negli ambiti lavorativi. La mia esperienza extrasportiva ne è un esempio. Io oggi lavoro in una delle banche più importanti al mondo e nel momento della mia assunzione la mia carriera sportiva e, dunque l’impegno che in essa ho profuso, è stata riconosciuta come un’attestazione importante di esperienze da poter mettere a servizio dell’azienda nella quale stavo entrando per la prima volta. In Italia troppo spesso agli atleti che a fine carriera cercano di entrare nel mondo del lavoro, anche se sono stati sportivi ad altissimi livelli, non è riconosciuta la loro carriera sportiva come un qualcosa in più, ma addirittura come una deficit di esperienza lavorativa.
– Con Stop Rape Italia cerchiamo di far conoscere alla società civile una tematica come quella della pratica della violenza sessuale come arma nei conflitti, spesso percepita come qualcosa di estremamente lontano dalla nostra vita quotidiana. Tu come hai conosciuto la nostra campagna e cosa ti ha spinto a fartene promotrice?
Ho conosciuto la campagna Stop Rape Italia tramite Tibisay Ambrosini, pochi mesi prima del mondiale 2018 al quale ci eravamo qualificate. Come nazionale, cavalcando anche la visibilità mediatica che si era generata, volevamo sfruttare quell’attenzione per far conoscere anche tematiche sociali. Quando abbiamo conosciuto la campagna contro la violenza sessuale come arma di guerra, che prima ci era sconosciuta, ce ne siamo subito appassionate e l’abbiamo fatta completamente nostra sposandola appieno. E’ un impegno che a distanza di tempo continuiamo a sentire nostro e che personalmente mi piacerà continuare a sostenere anche al di la della mia carriera sportiva.
– Tin questi giorni sei impegnata con le tue compagne ai campionati europei in Olanda. Quali sono le tue sensazioni e cosa ti aspetti da questa avventura?
Questo campionato europeo è di altissimo livello. Noi abbiamo una squadra completamente rinnovata, molto giovane, con un’età media di 25 anni. Sicuramente pagheremo qualcosa in esperienza e non siamo le favorite, ma mi aspetto tanto entusiasmo dal gruppo e la voglia di mettere a disposizione tutta l’energia possibile in modo da costruire delle basi sulle quali sviluppare un percorso duraturo.